La deroga alla rotazione dei dirigenti introdotta nella legge di stabilità

Il quadro normativo generale ed i dubbi interpretativi
La norma invero, come è intuibile pensare, pone numerosi dubbi tanto interpretativi quanto applicativi, oltre che costituisce in parte una ripetizione di precedenti orientamenti
dell’ ANAC (su tutti la delibera n. 13/2015) seppur con i dovuti distinguo.
Andiamo per ordine.
Per comprenderne la portata occorre distinguere da una parte i dirigenti dell’avvocatura civica e dall’altra parte i dirigenti della polizia municipale. Quanto ai primi, la norma si porrebbe in contrasto con la legge n. 247/2012 recante “La nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” che all’art. 23 comma 2 cpv stabilisce che “la responsabilità dell’ufficio è affidata ad un avvocato iscritto nell’elenco speciale che esercita
i suoi poteri in conformità con i principi della legge professionale”, ovvero indipendenza ed autonomia nello svolgimento della prestazione professionale.
La legge di stabilità, invece, introduce una deroga applicativa ad una legge speciale, intervenendo in un campo normativo non consono. Infatti, per la legge speciale, il Dirigente avvocato non può essere un qualsiasi dirigente amministrativo, come vuole invece affermare la legge di stabilità, ma un soggetto che abbia la qualifica di avvocato e sia iscritto all’albo speciale degli avvocati. Che operi nel rispetto dei principi di autonomia ed indipendenza e che sia subordinato solamente al Consiglio dell’ordine forense.
Si tratta di principi stabiliti non solo dalla lex specialis ma anche, soprattutto, nella giurisprudenza dei Giudici di Palazzo Cavour che in diversi interventi hanno ribadito
la necessaria indipendenza ed autonomia da ogni altro ufficio, dovendosi essi dedicare unicamente alla trattazione delle questioni legali che riguardano l’Ente in ragione della delicatezza delle questioni trattate, con esclusione di ogni altra attività amministrativa (ex multis Cass. Civ. SS.UU. sentenze 28049/2008, 5559/2002, 19547/2010).

Laddove invece si volessero seguire i criteri indicati nellalegge di stabilità, si ammetterebbe da una parte che la trattazione degli affari legali possa essere assolta anche da un dirigente non togato, con tutte le inevitabili ed intuibili conseguenze che subirebbe l’Ente; dall’altra, soprattutto, si violerebbe la legge professionale nella parte in cui vieta la trattazione di questioni amministrative, con la possibilità, non peregrina, della censura da parte del Consiglio dell’Ordine competente. Questa circostanza comporta poi un ulteriore vulnus: il reperimento all’esterno della figura – come evidenziato dall’Associazione di categoria2 – che all’interno dell’Ente verrebbe irrimediabilmente persa, nella ipotesi di conferimento degli incarichi legali, mappati nel PNA 2015 come area di rischio (unitamente agli accordi
transattivi).
Ecco perché, a parere di chi scrive, parlare di dirigente amministrativo dell’avvocatura è un nonsense: infatti se ricopre la figura di dirigente dell’avvocatura non sarà un semplice dirigente amministrativo ma sarà “togato” ed in quanto tale iscritto all’albo speciale. L’insensatezza si ripete allorquando si riconosce un carattere di esclusività al dirigente amministrativo che invero non esiste giacchè questa sussisterebbe solamente nelle ipotesi di dirigente dell’avvocatura, iscritto all’albo speciale dei professionisti. Risulta lapalissiano, anche all’occhio dell’uomo della strada che, l’applicazione della norma all’interno dell’ente si
palesa in tutta la sua difficoltà ed operatività per i motivi dianzi esposti. Legittimi sono infatti i dubbi sollevati dalle associazioni di categoria nella concreta applicazione della
norma, per il precipuo assunto per cui, in base al principio di specialità, “lex specialis derogat generali”e non viceversa, come di primo acchito emergerebbe dalla lettura del comma 221. Tra l’altro, laddove ammette la deroga alla rotazione tradisce, in parte nella sua forza innovativa, il contenuto della deliberazione n. 13 dell’ANAC che ha avuto il
pregio di introdurre dei limiti, oggettivi e soggettivi, alla rotazione del personale. Di questo si parlerà in seguito in maniera dettagliata.
Nel solco tracciato per i dirigenti dell’avvocatura civica è anche la questione collegata al dirigente della polizia municipale.
Sebbene l’attuale quadro legislativo non presenti una norma di chiusura simile a quella prevista dalla legge sull’avvocatura, è pur vero che le attività precipue e specifiche del dirigente della polizia municipale – che risponde dell’addestramento e della disciplina degli appartenenti del corpo, in regime di subordinazione operativa della competente autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza – fanno del comandante (e del corpo da lui diretto) un dirigente tecnico con specifiche capacità e competenza. Innanzitutto, se si pensa alle funzioni di p.g. che per il carattere di specialità e delicatezza possono essere assolte unicamente dai dirigenti all’uopo destinati. Sul punto si è espressa più volte tanto la giurisprudenza amministrativa che civile.
Ciò che colpisce in questo caso invero non è il conferimento di deleghe gestionali ulteriori al dirigente della polizia municipale: infatti, nulla osterebbe, per fare un esempio, all’incardinamento della Protezione civile in capo a questi, visti i continui rapporti tra gli organi di polizia e quelli prefettizi preposti.
Il problema si porrebbe non a monte bensì a valle, ovvero all’atto della rotazione delle deleghe gestionali in enti che per la loro dimensione non deroghino alla rotazione di
cui all’art. 1 comma 5 legge 190/2012.
In una siffatta circostanza, allo scadere del termine indicato nel piano di prevenzione adottato dall’amministrazione, si porrebbe il problema se la rotazione riguardi
tutte le deleghe gestionali ovvero solo quelle “aggiuntive” conferite al comandante.
Nella prima ipotesi – tutte le deleghe – grave sarebbe il vulnus arrecato alla p.a. nella piena convinzione che le attività di sicurezza e di polizia possano essere svolte solo ed unicamente da un soggetto che ricopre lo status di “vigile”, inteso nel senso più ampio, e da un dirigente che all’atto dell’assunzione della relativa qualifica abbia
superato il relativo concorso. Sulla specialità delle competenze del comandante, lo scrivente
si è già espresso3 allorquando ha ribadito, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale prevalente e più recente, (Cons. Stato, n. 75 del 16 gennaio 2015 che rimarca quanto sostenuto dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2013, n. 2607) l’assunto in base al quale il Corpo di polizia municipale rappresenta un’entità organizzativa unitaria ed autonoma rispetto alle altre strutture organizzative del Comune, costituito all’aggregazione di tutti i dipendenti comunali che esplicano, a vari livelli, i servizi di polizia locale e al cui vertice è posto un comandante, anche egli vigile urbano, che ha la responsabilità del
Corpo e ne risponde direttamente al Sindaco. Una volta eretta in “corpo”, la polizia municipale non può essere considerata una struttura intermedia.
È evidente che il corpo, costituito in una struttura burocratica più ampia (in un settore amministrativo), per ciò solo non potrebbe essere posta alle dipendenze del dirigente amministrativo che dirige tale più ampia struttura. Nella seconda ipotesi,  invece, ruoterebbero solamente le deleghe gestionali aggiuntive, in ragione dell’atecnicismo
attribuito.
Il secondo aspetto che non va sottaciuto è quanto stabilito dalla bozza stralcio di legge delega, circolata in questi giorni, di riordino ed accorpamento delle forze di polizia che ha previsto tra le altre cose per esempio “il trasferimentoai corpi di polizia locale di tutti i compiti e le funzioni di polizia amministrativa locale e delle funzioni di polizia di sicurezza di interesse esclusivamente locale finora esercitati dalle amministrazioni statali e dalle forze di polizia dello Stato”. Con la conseguenza che i Comandanti si troverebbero oberati di incombenze ulteriori tali da non consentire l’assunzione di ulteriori incarichi gestionali.
Così come non va dimenticato l’ultimo capoverso del comma 221 che, a modesto parere dello scrivente, costituisce una ripetizione rafforzata rispetto a quanto deliberato dall’ANAC nella delibera n. 13/2015 intervenuta nella vicenda relativa alla rotazione del personale dirigente /dipendente che aveva in particolar modo interessato il corpo di polizia locale del Comune di Roma. Rafforzata perché quest’ultima è intervenuta nella querelle del
Corpo di p.m. di Roma (che già si era espressa alla fine dell’anno 2014 con orientamento n. 114 nel riconoscere la rotazione anche del personale di cat. C), quella, la
legge, allarga il campo a tutta la dirigenza, ammettendo la deroga alla rotazione.