Il dipendente che segnala fatti di reato di cui sia venuto a conoscenza, e fuori dei casi di calunnia, “non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa” cosicchè il provvedimento dispone due accorgimenti che riguardano sia la stessa tutela dell’identità e successivamente la procedura di segnalazione del fatto di reato, strettamente ed ontologicamente collegati. Ecco perché la legge ammette la tutela di cui all’art. 329 c.p.ed l’obbligo di riservatezza nella segnalazione alla Corte dei Conti finchè non sia chiusa la fase istruttoria, al pari di cio’ che accade per le azioni disciplinati.
Tra le scelte del legislatore è prevista sia l’attivazione di un sistema informatico dedicato crittografato che l’attivazione di un sistema alternativo, il che vorrebbe dire che accanto alla piattaforma elettronica si dovrebbe tornare indietro al cartaceo. Un parte della dottrina[1]sostiene che “maggiore garanzia (la darebbe) una segnalazione “verbale” fornita con il massimo delle garanzie di riservatezze, oltre che di economicità”.
Va da sé che nelle more delle linee guida Anac- Garante privacy- anche al fine di evitare probabili sanzioni rinvenienti dall’attivazione delle tutele da parte di chi è deputato per legge (RPCT su tutti), la regola vorrebbe che gli Enti adottino un sistema immediato di tutela del segnalatore anonimo in forma cartacea, magari prevedendo il ritorno alla classica “segnalazione anonima al RPCT” che rechi il racconto dei fatti e l’allegazione dei documenti probatori. E’ di tutta evidenza che il racconto generico non potrà che essere oggetto di preventivo rigetto da parte dell’RPCT.
La disciplina recata per gli Enti pubblici si estende anche agli Enti privati. La mancata estensione agli enti privati era stata già vista in passato come una deminutio di tutela, salvo la previsione in appositi protocolli di legalità per i dipendenti delle società private. In tal senso si era espressa la dottrina. La novella legislativa, invece modificando il testo del decreto n. 231, non fa “radicare “una “coscienza sociale” all’interno dei luoghi di lavoro, che invogli il singolo ad attivarsi per denunciare all’autorità ovvero anche al proprio datore di lavoro, eventuali illeciti di cui sia venuto a conoscenza in occasione dello svolgimento della propria prestazione”
Certamente l’aver previsto a regime nell’alveo della nuova legge la previsione di un sistema di tutela del segnalatore anonimo pone al riparo lo stesso lavoratore da angherie del datore di lavoro, circostanza invece meno rilevante nell’azienda pubblica.
La nuova legge, in realtà, come saggiamente sostenuto, “si caratterizza per l’apprezzabile intento di promuovere in Italia una diffusione del sistema di whistleblowing che includa nel suo ambito di applicazione la più ampia platea di operatori economici, siano essi pubblici o privati. Sebbene risulti apprezzabile l’impegno del legislatore a che una nuova cultura della legalità si diffonda in ambito lavorativo, permettendo che il lavoratore si faccia parte attiva nella segnalazione di condotte illecite perpetrate all’interno dell’azienda, i tempi per un giudizio certo circa la reale efficacia del nuovo sistema appaiono non del tutto maturi” in linea con il rapporto di studio relativo al II° monitoraggio nazionale sulla applicazione del whistleblowing pubblicato da Anac nella parte in cui si precisa che a quattro anni dalla entrata in vigore della legge il whistleblowing presenta “ancora di una certa diffidenza: e ciò tanto nei vertici degli enti pubblici quanto in larghi strati di dipendenti e dell’opinione pubblica”. Per fortuna, tuttavia, qualcosa si muove se vero che l’Autorità, in collaborazione con il MIUR, ha lanciato un “concorso di idee” indirizzato agli studenti delle ultime classi della scuola media superiore per la ricerca del nome italiano per il whistleblower, che vedrà la premiazione dei migliori prodotti artistici fra i tanti presentati e del miglior nome individuato.