Impatto del whistleblowing sulle persone e sull’organizzazione. Dall’evoluzione della legge ai risultati attuali. Quali prospettive

LA SVOLTA CULTURALE SOTTESA

E’ di tutta evidenza che le tutele legislative che sono state apprestate dal Governo europeo prima ed italiano poi hanno avuto come unico fine quello di far fuoriuscire all’esterno il marcio insito nelle Amministrazioni pubbliche, per colpa di funzionari infedeli o avvezzi a violare le leggi, violando il più elementare principio di buon andamento, imparzialità e terzietà dell’azione amministrativa.
Infatti, come emerge da uno studio di Trasparency international italian, I whistleblower non sono generalmente sostenuti dall’opinione pubblica in quanto è ancora diffuso un sentimento di omertà o collusione (parole utilizzate spesso dalle persone intervistate durante la ricerca, sia da accademici che da rappresentanti delle organizzazioni private) che non rende gli italiani solitamente propensi a denunciare episodi di irregolarità”.
Lo spione, ovvero il delatore, non è una figura vista di buon occhio e tra il segnalare i fatti di illiceità e girarsi dall’altra parte facendo finta di vedere risulta più facile quest’ultima azione. Tanto perché ad una incoscienza popolare è collegata una assenza di giustizia immediata che nelle sedi giudiziarie non dà contezza di quanto accaduto nella realtà fattuale.
Gli italiani in generale non sono culturalmente propensi alla pratica delle segnalazioni.
Come afferma uno degli intervistati all’interno di questo studio[2], l’Italia presenta due problemi principali:

  1. la disomogeneità regionale;
  2. una diffusa resistenza a segnalare reati e irregolarità

Egli suggerisce che i whistleblower potrebbero essere incentivati con ricompense economiche (ad esempio riduzioni fiscali). L’atteggiamento delle istituzioni varia notevolmente a seconda dei soggetti: per il Governo il whistleblowing non sembra essere una priorità ma alcuni dirigenti di agenzie pubbliche (Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, Servizio Anticorruzione e Trasparenza, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) ne raccomandano la protezione; il Garante per la Protezione dei Dati Personali sta attualmente considerando la problematica e un suo parere è atteso nei prossimi mesi.
Il contesto culturale italiano rappresenta uno dei problemi principali rispetto alla mancata – o ritardata – applicazione del whistleblowing. Gli italiani non si dimostrano in genere inclini alla segnalazione di irregolarità o reati e, anche nel caso di segnalazione, l’opzione preferita è quella anonima. In diverse interviste sia a manager di aziende private. sia ad accademici sia ad altri attori chiave, questi hanno fatto più volte riferimento a ostacoli di tipo culturale, senza sottacere la paura connessa.
L’obiettivo pertanto della legge è quello di sradicare un mal costume, imprimere nuova linfa alla tutela delle segnalazioni, a garantire la effettività di indagine della segnalazione, a garantire la repressione dei reati attraverso pene certe e cio’ che più è importante, a garantire che quelle stesse persone raggiunte da ipotesi di reato non siano più nelle condizioni di contrattare e lavorare con la p.a.
In questo quadro di insieme, puo’ essere visto come un punto di favore il recente DDL anticorruzione che introduce il Daspo per i corruttori, anche quando patteggiano la pena, prevedendo come sanzione accessoria  la sospensione della capacità a contrattare di 5 anni per pene inferiori a due anni o della incapacità perpetua per pene superiori a due anni, anche in caso di patteggiamento.

L’IMPATTO SULLE PERSONE

L’impatto sulle persone ovviamente costituisce l’altra medaglia dell’aspetto culturale poco sentito e non avvertito dalle genti italiane.
La valutazione prognostica ovviamente va fatta sia al livello delle persone intese come la collettività sia al livello di persone interne alla pubblica amministrazione.
In virtu’ di una applicazione specifica della legge 190/2012 alla struttura pubblica, la scrivente è dell’avviso che, la Pubblica amministrazione posta al servizio del cittadino, deve onorare il suo compito garantendo sempre e comunque il proprio operato in materia trasparente, diligente, competente.
Di talchè, i comportamenti non in linea con la legge, devono essere segnalati solo da chi vive internamente all’Ente, che conosce i colleghi, che a conoscenza delle relazioni interne ed esterne all’Ente, che comprende i giochi di forza, che valuta l’atteggiamento di un dipendente infedele reiterato e continuato nel tempo.
L’impatto deve essere dinamico ed al tempo stesso stabile: dinamico perché il dipendente deve porre in essere una serie di attività che oggetto di segnalazione, devono essere documentate e catalogate, con un piglio di specificità e definitività per evitare in incorrere in calunnia e delazione.
Stabile perché il dipendente che segnala deve essere messo nelle condizioni di non mutare la propria condizione fisica e lavorativa atteso che questi non deve subirne il turbamento , cambiando le proprie abitudini, solo per aver fatto il proprio dovere.
L’impatto deve chiaramente incidere sulle altre persone coinvolte come il RPCT e l’organo di vertice. Sebbene l’Anac ha più volte ribadito il necessario coinvolgimento dell’organo di vertice, si è dell’avviso che in ragione dell’obiettivo coinvolgimento della politica nelle pratiche corruttive, la segnalazione debba fermarsi unicamente all’RPCT e da questo veicolata alla magistratura penale.
Il RPCT ovviamente deve adottare tutte quelle misure che consentano al dipendente segnalante di sentirsi “protetto” da eventuali minacce, lesioni, aggressioni verbali e fisiche che possano da una parte determinarne una ritrattazione e dall’altra tutelarne l’incolumità.
L’impatto sulla cittadinanza poi costituisce la prodromica e successiva conseguenza, che possa indurre il cittadino a guardare con “favor” la PA ed al tempo stesso a condannare nella vita di tutti i giorni quei comportamenti illeciti che minano la stabilità di una società.

LA INCIDENZA SULLA ORGANIZZAZIONE.

E’ di tutta evidenza che il comportamento assunto dal dipendente segnalante non puo’ che incidere sulla organizzazione, atteso che l’atteggiamento truffaldino del dipendente inficia la legittimità della intera azione amministrativa, delegittimandola nel suo divenire storico.
L’organizzazione , in verità, è garantita dalla disciplina contenuta nel Piano anticorruzione, che soccorre il RPCT ed in generale l’Amministrazione al verificarsi di fatti che determinano obtorto collo una rotazione.
Infatti, qualora un fatto di reato non accertato venga segnalato, risulta doveroso per l’Ente attivare tutte quelle misure preventive necessarie atte ad evitare il reiterarsi di reati da una parte ed a garantire dall’altra azioni correttive che non inficino la continuità dell’azione amministrativa.
In tal senso, è di aiuto quella che viene chiamata “la rotazione ordinaria” che andrebbe regolamentata ed agganciata a tutte le ipotesi di verificazione del reato.  Di talchè l’evento scatenante il reato possa determinare immediatamente la rotazione del dipendente raggiunto da una contestazione di reato, per il rischio potenziale che i reati si possano reiterare nel tempo.
L’organizzazione viene attinta anche dalle conseguenze a cascata del comportamento  per le attività successive da porre in essere.
Cio’ perché il verificarsi di un fatto di reato derivante da una segnalazione interna evidenzia l’assenza o l’inefficacia del sistema preventivo.
In questo senso il Piano anticorruzione dovrebbe prevedere indici sintomatici al verificarsi dei quali si potrebbero realizzare fattispecie corruttive, dovrebbe mappare i processi amministrativi non solo in rapporto al procedimento in quanto tale ma soprattutto in rapporto ai dipendenti ed al grado di qualificazione dei dipendenti facenti parte dell’ufficio.
Il Piano deve prevedere misure preventive idonee ma al tempo stesso misure successive stringenti che consentano di ristabilire l’azione amministrativa rispettosa dei canoni costituzionali del buon andamento , della imparzialità e della efficienza.
Non va sottaciuto, quale come misura di rilevante interesse, la doverosa sensibilizzazione del whistleblowing attraverso un monitoraggio generale sullo stato di attuazione nell’Ente. Sia per adottare soluzioni correttive della prassi amministrativa, sia per delegittimare comportamenti truffaldini e illeciti.

L’IMPORTANZA DELL’ISTITUTO . GLI STUDI ED I RAPPORTI ANAC

Si reputa che l’istituto del whistleblowing costituisca un cavallo di troia notevole per sradicare il marcio interno agli uffici, le cui tutele andrebbero rafforzate.
Come dimostrano i diversi rapporti studi nel tempo succedutisi da parte di Anac, vi è stato un incremento record questo anno sul fronte delle segnalazioni anonime verso l’Autorità (poche sono quelle solo interne) che ha portato l’Autorità ad adottare altresi’ un regolamento per il funzionamento delle segnalazioni anonime.
Il regolamento sulle sanzioni nella tutela dei whistleblower (la cui consultazione è scaduta il 30 settembre 2018)  si sofferma sulla gravità dei comportamenti segnalati indicando l’ordine di priorità dei casi di whistleblowing da trattare, insieme all’assenza di procedure chiare per le segnalazioni e ai tempi dell’inerzia da parte del responsabile anticorruzione. E per garantirne gli effetti, è utile ripresentare le segnalazioni precedenti al 29 dicembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 179, verificarne la loro attualità e rispondenza ai criteri fissati dalla norma.
Tuttavia va detto come tutto questo impianto normativo, a quanto si legge e si apprende quotidianamente, non pare garantire coloro che versando in una situazione di oggettivo svantaggio, prendendo il coraggio a due mani, denunciano il malfunzionamento, gli abusi e gli illeciti di varia natura in nome di quella integrità della pubblica amministrazione in cui credo e che vogliono sia affermata.
Di fatto, non si è riusciti il più delle volte a tutelare costoro da licenziamenti, trasferimenti, demansionamenti ed applicazione di sanzioni espulsive, anche se, a tal riguardo, la citata legge prevede espressamente la nullità di tali atti adottati dall’amministrazione o dall’ente, nonché la reintegrazione del lavoratore eventualmente licenziato a motivo della segnalazione, onerando l’amministrazione di giustificare gli stessi con ragioni estranee alla segnalazione. Infatti, va sottolineato che la maggior parte dei casi di persecuzione dei segnalatori esaminati sono caratterizzati da denunce riguardanti superiori gerarchici, mentre nel caso di denunce tra colleghi (classico caso di assenteisti dal luogo di lavoro), la normativa in materia di tutela del segnalatore risulta rispettata senza l’attivazione di misure di ritorsione o discriminatorie nei confronti del dipendente che pur con le sue denunce, magari, ha attirato l’attenzione dei media ovvero costretto il dirigente ad attivarsi. Così bisogna prendere atto, ovviamente senza ritenere che dei singoli casi mettano minimamente in discussione la potenziale validità dell’intero impianto normativo sulla tutela del segnalatore di illeciti, che a volte non si riesce nell’intento di proteggere colui che denuncia degli illeciti nella sua organizzazione e che tali casi, molto spesso, hanno un effetto deterrente totalmente opposto alla previsione incentivante che è alla base di siffatta normativa.