
A cura di Nicola Dimitri Maria Porcari.
E’ di questi giorni il dibattito sulle oramai imminenti dimissioni di Raffaele Cantone dalla guida dell’Anac , in virtù della domanda formulata per ricoprire l’incarico di Procuratore Capo a Frosinone, Perugia o Torre Annunziata.
Dalle colonne del Corriere della Sera si scopre che oramai il percorso di Cantone, magistrato di finissime doti giuridiche ed umane, sia giunto al capolinea.
Il mandato, fisiologicamente, si concluderebbe nell’aprile 2020, tra poco più di un anno.
Ma, come era evidente anche agli occhi di uomini poco attenti, il feeling tra l’attuale Governo e il Presidente dell’Autorità non è mai sbocciato, in virtu’ di una serie di motivazioni non ultima la designazione del magistrato a Presidente dell’Autorità ad opera del Premier uscente.
E lo stesso Cantone non fa mistero nel dire che “si sente sopportato” e pertanto è giusto togliere il disturbo.
Parole dette alla luce delle uscite poco diplomatiche del Premier del 7 giugno scorso, delle scelte del Governo di riscrivere una buona parte di norme del Codice dei contratti che certamente non migliorano il quadro italiano poco roseo sulla lotta alla corruzione, senza sottacere la volontà silente di ridurre sensibilmente i poteri dell’Anac ovvero di abolirla. Invero i colpi bassi l’Autorità li aveva subiti anche dal Governo uscente, non va sottaciuto.
Cantone ha sempre richiesto poteri maggiori ma via via sono stati smontati i baluardi su cui poggiava il potere dell’Autorità. Invero, a modesto parere di chi scrive, alcune volte la stessa Autorità si è mostrata contraddittoria nei provvedimenti che ha adottato, altre volte, pur avendo tracciato la linea, non ha poi dato seguito con delibere ad hoc. Ma solo chi non fa non falla, direbbe Mantovani.
Quando penso al mancato conferimento di poteri che Cantone più volte ha sollecitato, senza ottenere, mi viene in mente la vicenda, drammatica, del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il quale, nominato Prefetto a Palermo, ricevette l’impegno dal Governo di ottenere un sostegno assoluto con assegnazione di poteri speciali nella lotta alla mafia, al fine di dare al Generale gli stessi strumenti che lo avevano visto combattere in prima linea il terrorismo con vicende fortunate.
La sua nomina a Prefetto di Palermo, con assegnazione di poteri di indagine, fu malvista “anche da ambienti giudiziari che temevano una sovrapposizione ed una confusione di ruoli, peraltro costituzionalmente riservati alla magistratura”(“Carlo Alberto Dalla Chiesa e quei super poteri speciali negati” a cura di Elio Sanfilippo del 3 settembre 2017 tratto dal sito www.ilsicilia.it/carlo-alberto-dalla-chiesa-e-quei-poteri-speciali-negati), al contrario invece della cittadinanza palermitana che nutri’ grande speranza e fiducia manifesta per il nuovo prefetto, “percepito come uomo giusto e rigoroso”.
Il Generale si rese conto che, a differenza della lotta al terrorismo, non godeva dell’attenzione della opinione pubblica dei palazzi romani e per certi aspetti anche lui si senti’ sopportato.
Non a caso, nel denunciare i mancati impegni del governo, ricordò che “chi è lasciato solo nella lotta alla mafia puo’ essere ucciso ed isolato come un corpo estraneo” (“Carlo Alberto Dalla Chiesa e quei super poteri speciali negati” a cura di Elio Sanfilippo del 3 settembre 2017 tratto dal sito www.ilsicilia.it/carlo-alberto-dalla-chiesa-e-quei-poteri-speciali-negati).
Quella stessa solitudine che denunciò Giovanni Falcone il quale soleva dire sempre che “si muore generalmente perchè si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno”.
In fondo è la stessa solitudine che lamenta Cantone, un bravo magistrato sempre in prima linea, come dimostra la sua carriera di magistrato prima della sua esperienza all’Anac ed a cui va tutto il mio ringraziamento per aver dato credibilità all’Italia a livello internazionale (l’Italia è salita di ben 13 posti nella graduatoria della percezione della corruzione dall’avvento di Cantone) per aver creduto in una svolta culturale e gettato le basi per avviarla, per aver sostenuto la necessità di un vivere più equo e giusto, per aver pensato di minare la corruzione dalla base attraverso percorsi di etica e di prevenzione dall’interno dell’Ente, per aver cercato, nei limiti dei poteri dell’Autorità Anticorruzione, di dare speranza agli italiani di buona volontà.
Oggi come allora, van bene le parole del Cardinale Pappalardo “Dum Romae loquitur, Saghuntum expugnatur”.
A Raffaele Cantone vanno i miei ringraziamenti, quale uomo prima e quale appassionato di questa materia poi, e di tutti quelli italiani che in lui hanno creduto sin dal primo giorno.
Ad maiora semper